Liliana Ranalletta
PHOTOGRAPHY
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Gleason's Gym

ita
Tutto ciò è stato possibile per l’accoglienza e la disponibilità di Bruce che ha permesso che la Gleason’s Gym (foto scattate nella sede storica) diventasse la mia casa. Grazie da Liliana.

Ci sono luoghi che “sono”, … esistono senza una precisa dimensione fisica o spaziale tangibile che ne definisca i contorni o la forma; … luoghi che non “contengono”, ma che sono essi stessi il “contenuto” che ne plasma l’essenza, declinata in un variopinto mosaico di elementi impossibili da ricondurre entro la visione di un insieme coerente che non sia quello della memoria, della passione e della determinazione di chi li vive. Entrare nella Gleason’s Gym (sito web ufficiale) di New York, la palestra era al 77 Front Street, ora è al 130 di Water Street a Brooklyn, proprio sotto il Manhattan Bridge, dove si sono allenati tra i più grandi pugili della storia, significa prima di tutto penetrare l’atmosfera densa di un luogo dove la passione, la forza, la determinazione, il coraggio e la fatica che scorrono tra lacrime di sangue e di sudore, si fanno materia grumosa, policroma e variegata di uno scenario multiforme; teatro di uno sport che è esso stesso metafora di vita e dove il passato con le sue leggende e la sua storia fluisce con naturalezza e quasi senza soluzione di continuità nella semplicità quotidiana e genuina di un presente vero e concreto.
Boxe, come metafora di vita; … una, … dieci, … mille vite, ciascuna con il proprio carico di umanità, di dolore e di speranza, di disillusioni e voglia di ricominciare, … di rimpianti per ciò che “non è stato” e fiducia per “ciò che sarà”; … emozioni forti, sentimenti, ansie, paure, progetti, propositi che si affastellano, si aggrumano quasi incrostandosi nello spessore delle superfici dei muri, … si rapprendono, dissolvono e coagulano nuovamente nei mille particolari di una coralità solo apparentemente dissonante che definisce il carattere e lo spirito del luogo.
Luogo come indecifrabile specchio di una identità ancorata tra passato, presente e futuro e quasi sospesa alla forza di un sogno o di una visione che urla il proprio riscatto, … alla fermezza di un proposito capace di ridisegnare il proprio destino. Fotografie ingiallite dal tempo si alternano ad attrezzi consunti, trofei, specchi, panche e sacchi che si mescolano nel groviglio di neon ed impianti tecnici, tra corde ed armadietti scavati di ruggine; manifesti e locandine di incontri memorabili, articoli di giornale e ritratti di icone del passato e nuove glorie del presente rivestono le pareti che quasi perdono peso e consistenza, smaterializzandosi nel continuum di una atmosfera permeata di leggenda e di mito, ma anche e soprattutto di sudore, concentrazione e passione.
Ed è proprio questa atmosfera il cuore narrativo ed emozionale del mio reportage: una materia viva e pulsante; intrisa dell’odore acre della fatica; densa di sguardi sospesi come scrutassero lontano nella concentrazione dello sforzo; “colma” di improvvisi silenzi rotti soltanto dallo schianto di un attrezzo o dei pugni contro un paracolpi; “scossa” da lampi di luce che agitano, all’ondeggiare dei sacchi appesi, l’oscurità di angoli bui dove sciogliere il culmine della tensione. Atmosfera che è tutta nel genius loci di uno scenario che è prima di tutto “scenario esistenziale”, teatro cioè di altissimi valori sportivi e di vita in genere.
“Victory is reserved for those who are willing to pay it’s price.” (“La vittoria è riservata a coloro che sono disposti a pagarne il prezzo”) sono le parole di Sun Tzu, generale e filosofo cinese, vissuto fra il VI e il V secolo a.C., che leggo quasi distrattamente nella maglietta di uno dei ragazzi che si stanno allenando ed il pensiero corre veloce con un salto di parecchi secoli in avanti alle parole del grande Muhammad Ali “I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione.”.
Già … perché quella “vittoria” nelle parole dello stratega cinese, declinate nello spirito della Boxe, è prima di tutto il “desiderio”, il “sogno” … in una parola la “visione” di cui ha parlato la leggenda americana.
E’ questo lo spirito di un luogo come la Gleason’s Gym, … un’essenza che trasuda da ogni più piccolo tassello di quel multiforme mosaico di vita dove il passato con le sue glorie e le sue leggende si fa prima di tutto una lezione di sangue, lacrime e sudore rivolta a un “desiderio”, a un “sogno” ad una “visione”.
Qui …Sugar Ray Robinson, Rocky Marciano, Floyd Patterson, Muhammad Ali, Joe Frazier, George Foreman, Mike Tyson, Marvin Hagler e tanti altri, non sono “stars”, così come la Gleason’s Gym non è certo la palestra glam con saune o idromassaggi alla moda. Tutt’altro.
Qui le leggende del passato, … i grandi campioni, sono presenze reali, come i loro ritratti o i manifesti appesi alle pareti non sono simulacri muti e indifferenti di un tempo lontano e a sé stante, … ma espressione sincera di quello stesso genius loci.
Perché qui non importa davvero chi sei. E’ qui che ti viene data la possibilità di inseguire un sogno, quando la “volontà deve essere più forte dell’abilità” (Muhammad Ali), indipendentemente dal fatto che tu sia un imprenditore affermato o un semplice ragazzo con il pallino di diventare un grande pugile. Qui … tutti sono uguali, grandi e piccoli, uomini e donne, bianchi e neri, perché è proprio da qui che anche i più grandi hanno cominciato a ridisegnare il loro destino.
Acquista presto un senso preciso la scritta che all’ingresso della palestra sembra voler mettere subito in chiaro il significato del proprio operare e che si ritrova stampata sui manifesti, sulle tute o sulle magliette: “Now, whoever has courage and a strong and collected spirit in his breast, let him come forward, lace on the gloves and put up his hands. Virgil” (“Chiunque possieda il coraggio e la determinazione per fare il pugile, è benvenuto. Deve solo infilarsi i guantoni e mettersi in guardia.”)
Ed è allora che ti accorgi di quanto fascino abbia in effetti il carattere così decisamente dimesso della Gleason’s Gym, con i suoi armadietti vissuti di metallo, le mura scrostate o gli attrezzi datati. Una palestra che è prima di tutto un “luogo” che fa della sua estetica consunta, sottomessa, trascurata e per certi aspetti anche familiare, domestica, semplice e quotidiana, una sorta di “impronta etica”; luogo il cui spirito accoglie, protegge ed indirizza verso valori veri e genuini; dove i “grandi” possono incontrare i signor “nessuno”, perché tutti sono uguali nello spazio democratico del ring; dove l’assenza di orpelli ed inutili fronzoli luccicanti fa il pari con lo spessore del silenzio o la comunicazione sintetica ed asciutta tra pugili ed allenatori, di chi cioè non ha tempo da perdere e dove c’è un progetto da portare avanti, una “visione” da inseguire, con lo sguardo concentrato sulla compiutezza del gesto tecnico che libera in un solo istante tutta la forza e la tensione accumulata.
La Gleason’s Gym di New York è la palestra più prestigiosa del mondo, la più vecchia palestra degli Stati Uniti dopo la chiusura di qualche anno fa della Windy city gym di Chicago e qui sono stati girati molti film tra i quali “Toro Scatenato”, “Cinderella Man” e “Million Dollar Baby”, scenario di una miriade di film, spettacoli televisivi e servizi fotografici.
Eppure … ogni giorno, è lo spettacolo della vita quello che va in scena tra queste mura. La vita vera, concreta, quotidiana di decine di sportivi, di uomini e donne che alimentano con il sangue ed il sudore il fuoco della loro passione, … della loro “visione”. C’è un’immagine che più delle altre sembra riassumere il senso di questo reportage con cui ho cercato di cogliere e raccontare lo spirito della Gleason’s Gym, nel condensare al suo interno i vari frammenti di quello che per me è stato un percorso fitto di forti emozioni. E’ la foto di un ragazzo ripreso durante un istante del suo allenamento. L’immagine non congela un momento eclatante, un gesto di particolare eloquenza tecnica, … non c’era da immortalare una posa dal fascino scultoreo al culmine della tensione. No, … lui è in piedi al margine del frame, nell’ombra di uno scenario dove sembra essere calato un silenzio improvviso, … sospeso, quasi stesse misurando a piccoli passi lo spazio davanti a sé, lo sguardo distante e basso, come rivolto ad un orizzonte privato ed inaccessibile. Tutt’intorno i frammenti ed i particolari più o meno “tipici” della Gleason assicurano l’apparato scenico di una rappresentazione che potrebbe apparire del tutto “consueta”: il cartellone con il logo della palestra, una porzione di ring sulla destra, la quinta di specchi che restituisce l’immagine deformata dello spazio circostante aggrovigliato di luci al neon, sacchi e corde, … mentre da un pilastro fa capolino il manifesto sul nuovo documentario (narrato da Liam Neeson) sulla vita di Manny Pacquiao e sulla sua incredibile storia dagli anni della miseria estrema a quelli del successo come uno dei pugili più pagati al mondo.
E sullo sfondo, … sullo sfondo come uno dei tanti poster che affollano le pareti della Gleason, un monitor restituisce uno dei drammatici istanti dell’omicidio di un afroamericano: Walter Scott, ucciso da un agente di polizia, mentre disarmato tenta la fuga. Era il 4 Aprile 2015, nel South Carolina. C’è una curiosa quanto drammatica ironia nella triangolazione tra il ragazzo della foto, il manifesto del pluricampione pugile filippino ed il frammento di quel drammatico video: il ragazzo ripreso durante il suo allenamento, la super pagata star della Boxe, lo sfortunato afroamericano di Charleston. Destini diversi, … troppo diversi, … quasi che il monitor da una parte ed il manifesto dall’altra stabilissero quegli estremi entro cui la vita può in modo crudele e beffardo far oscillare l’ago della nostra sorte. E nel mezzo, … quel ragazzo. Quel ragazzo con lo sguardo basso e i guantoni, nell’ombra, con un destino ancora da disegnare, una “visione” ancora da realizzare, consapevole che la “vittoria è riservata a coloro che sono disposti a pagarne il prezzo”.  Prezzo che qui ha il sapore amaro delle lacrime, del sangue, del sudore e tutta la forza disarmante di un desiderio di riscatto.


eng
The historic location of the Gleason’s Gym in New York was at 77 Front Street, where the pictures were taken, now is located at 130 Water Street in Brooklyn, both right under the Manhattan Bridge. Here photographs. Enter In this gym, where they trained among the greatest boxers in history, means first of all penetrate the dense atmosphere of a place where the passion, strength, determination, courage and hard work, become scenery polychrome and varied. Here the sport is itself a metaphor for life and where the past with its legends and its history flows naturally almost seamlessly in everyday simplicity and genuine of a present real and concrete. Photographs yellowed by time alternate with worn out tools, trophies, mirrors, benches, and bags that are mixed in a tangle of neon and technical equipment, including ropes and cabinets partially covered with rust; posters and playbills of memorable matches, newspaper articles and portraits of icons of the past and new glories of this line between the walls that almost lose weight and texture, dematerializing the “continuum” of an atmosphere permeated with legend and myth, but also sweat, concentration and passion.
This atmosphere is the heart of my narrative and emotional reportage: a living material and button, soaked with the acrid smell of fatigue, full of eyes looking far as suspended in the concentration of effort. Sudden silences broken only by the crash of a tool or punches against a bumper.
Atmosphere that is all in the “genius loci” of a scenario that is first of all “existential scenario”, theater of the highest values of sports and life in general. All this has been possible for the welcome and availability of Bruce that allowed the Gleason's Gym became my home.
Thanks by Liliana.
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