Ponte di Nona“Meglio che niente” è il nome della strada che mi ha portato ad analizzare questo quartiere uguale a tanti altri costruiti senza servizi, senza collegamenti viari, senza luoghi di socialità, senza nessuna manutenzione.
“Meglio che niente” … o “Mejo de gnente”, per dirla alla romana, con quel caratteristico piglio di sarcasmo carico di amarezza, … da pronunciare con un mezzo sorriso stretto tra i denti. “Mejo de gnente”, ironia toponomastica che si fa presto metafora delle solite aspettative deluse, … consapevolezza di ciò che potrebbe e non sarà mai. Eppure inizialmente si rimane abbagliati da quelle case colorate, arancione e blu, che sembrano sprizzare allegria ma che subito lasciano spazio ad un vuoto senso di spaesamento di fronte a strade interrotte e non ancora asfaltate, cantieri abbandonati, recinti di acciaio che circondano le palazzine invendute. Sono i “non luoghi” di un territorio alieno, ad offrirsi come soggetto principale di questo reportage: gli spazi privi di identità in cui è impossibile riconoscersi e riflettersi, il teatro di una urbanizzazione che non ha saputo o voluto creare le forme e i luoghi di una socialità vera e concreta. Ed è così che “Mejo de gnente” si fa fotografia di un simulacro quasi dimenticato al margine di un territorio desolato e indifferente persino alla pietà religiosa; di una giostrina colorata cui fanno da cornice decine di palazzoni muti ed opprimenti; del quotidiano degrado di strade silenziose in cui sentirsi estranei e che di fatto appaiano deserte, vuote e prive di vita; di una transenna che chiude una strada aperta sul nulla, come una barriera frapposta tra due mondi destinati a restare estranei, per isolare e ghettizzare gli abitanti del quartiere e allontanarli sempre di più dalla capitale. Ponte di Nona, quartiere situato a 6 km fuori dal Raccordo Anulare, è stato progettato alla fine degli anni ’90 come quartiere all’avanguardia, ma non è altro che un agglomerato di palazzoni colorati tirati su rubando terreno alla campagna, isolati dal resto della città, privi di qualsiasi servizio e vicini soltanto al più grande centro commerciale d’Europa, una cattedrale di centomila metri quadrati inaugurata nel 2007 che confonde il visitatore a tal punto che non si comprende se ci si trovi in una città o campagna o paese. Percorrendo le sue strade si susseguono schiere di condomini anonimi che sembrano fatti con lo stampo, una marea di cartelloni con annunci di vendita, molti uffici di agenzie immobiliari, qualche bar, qualche edicola, qualche pizzeria al taglio, una farmacia, nessuna piazza, un istituto scolastico su cui sventolano brandelli di bandiere. Non è un caso che nel libro Vite periferiche (2012), l’urbanista Enzo Scandurra descrive Ponte di Nona come “una metafora della contemporaneità”, “la più grande beffa dei sogni degli urbanisti” e “un presepe moderno attorno alla mangiatoia del centro commerciale”. “Via Mejo de gnente” … già; c’è ironia e un’amarezza profonda in questo scherzo della toponomastica, perché se avessero davvero realizzato il quartiere come previsto nei progetti iniziali, con grandi strade e infrastrutture, Ponte di Nona sarebbe stato un quartiere modello. Ma così non è stato. Un quartiere che …”avrebbe potuto”, palcoscenico di mille speranze infrante, che questo breve reportage cerca di raccontare per frammenti … slegati fa loro, che di fatto non riescono ad inquadrarsi entro il disegno coerente di uno scenario che non sia quello di un anonimo teatro vuoto e desolato. Il Comitato di quartiere ha fatto un duro lavoro per l’ottenimento di diritti quali la prima assegnazione delle case, l’ottenimento di servizi minimi, una linea autobus, una farmacia, il supermercato e i pullman delle scuole. C’era stata un’occasione per riqualificare la storia di questo territorio devastato da interventi urbanistici dissennati, quella rappresentata dall’archeologia. Durante i lavori di ampliamento della Collatina, tra via dell’Acqua Vergine e largo Cicali, tra via Collatina e via Ponte di Nona, sono affiorati i poligoni di basalto del percorso che univa la città latina di Collatia a quella di Gabii. Insieme alla strada, sono riemerse anche sepolture primitive lungo la Collatina e un’antica stazione di posta. Quale occasione migliore per ricostruire l’identità del territorio con la valorizzazione di questa risorsa archeologica? Potrebbe diventare un Parco archeologico, ma è solo una discarica abbandonata. Le tombe pre-romane vicino al centro commerciale e il Parco archeologico che doveva essere realizzato potevano compensare il danno o la presenza ingombrante del centro commerciale, ma tutto viene sempre rimandato. La storia è sempre la stessa che si ripete da decenni a Roma e in molte altre città d’Italia: pezzi di cemento e asfalto rubati alle campagne romane per arricchire costruttori, architetti e amministratori incuranti delle conseguenze sul tessuto sociale della città ed incuranti soprattutto di disattendere le aspettative di qualità della vita dei cittadini che hanno il diritto di vivere degnamente i propri luoghi ed i propri spazi. |